Compro ergo Sum?

Quale relazione lega ciò che siamo e ciò che possediamo?



shopping compulsivo
Ci sono dei momenti in cui la definizione “febbre degli acquisti” sembra più che appropriata: l’inizio dei saldi, il lancio di un nuovo prodotto che scatena file fuori dai negozi, o la grande corsa ai regali di Natale. Il culmine di una vera passione: lo shopping.
In questi casi ci piace pensare che le nostre scelte di spesa siano razionali: ma, comprando, ci lasciamo guidare più di quanto ci rendiamo conto da emozioni e desideri profondi, che spiegano perché ci ritroviamo alla cassa con un abito comprato d’impulso anche se non ne abbiamo davvero bisogno.
Quali meccanisti entrano in gioco quando decidiamo di acquistare un prodotto?
Uno è il calcolo puramente razionale (chiedersi cioè se quel determinato prodotto ci serve davvero), il secondo è il fattore emozionale legato alla soddisfazione dei bisogni, di cui spesso non siamo consapevoli.
Il piacere di comprare, dalla pianificazione dell’acquisto, l’acquisto del prodotto e il possederlo ci regala una soddisfazione momentanea dovuta all’attivazione a livello cerebrale di aree legate alla soddisfazione dei bisogni e ai circuiti della ricompensa: lo shopping compulsivo, ad esempio, si basa su questa logica, ovvero la difficoltà ad esercitare meccanismi di controllo di fronte al costante bisogno di rinnovare la sopracitata soddisfazione momentanea che altro non è che la sensazione di piacere legata all’acquisto.
Una interessante teoria riguardo la spinta all’acquisto è stata espressa dallo psicologo evoluzionista Geoffrey Miller, il quale sostiene che l’istinto dello shopping possa derivare da un comportamento comune nel regno animale: “pubblicizzare” le proprie caratteristiche per attrarre un compagno.
Miller suggerisce che compriamo per lanciare segnali, innanzitutto ai potenziali partner, ma anche ad altri membri del gruppo, per farceli amici e alleati o mostrare loro il nostro status, proponendo paragoni con il mondo animale: ad esempio paragonando alcuni prodotti bramati dagli umani (un auto vistosa) a segnali tipici del regno animale (la coda del pavone).
Secondo Miller l’auto vistosa e la coda del pavone hanno in comune il “segnale costoso”, ovvero qualcosa per cui si consumano energie (l’ingombro delle piume e il costo dell’auto) e lanciano un messaggio molto preciso: ho tante risorse da spendere, buoni geni e tanta qualità, quindi sono il compagno migliore o un membro dominante del gruppo.
L’esibizione dello status sociale e della ricchezza attraverso prodotti costosi è evidente ma è solamente una prima constatazione. Secondo Miller gli umani sono naturalmente dotati di vari tratti da eseguire per mostrarsi buoni partner e fare colpo: la bellezza, l’intelligenza, il senso dell’umorismo, la creatività o la gentilezza.
Ciò che le persone comprano rivela il tentativo di esibire caratteristiche che le rendono desiderabili come partner o come amici: l’intelligenza (ad esempio circondandosi di gadget hi-tech che rivela il nostro intelletto), la coscienziosità (un animale da curare manda un segnale di attenzione come partner o genitore), l’apertura mentale, la stabilità emotiva ed infine la gradevolezza e l’estroversione.
A livello intrapersonale i prodotti ci seducono per il significato che attribuiamo loro: alcuni oggetti diventano desiderabili perché possederli determina un aumento del proprio “valore sociale”: ci sentiamo più belli e più apprezzati dagli altri membri del gruppo che danno importanza a quel prodotto.